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persona che lavora, al punto da aver indotto alcuni studiosi a parlare – in termini evidentemente distopici – di una “fine del lavoro” (J. Rifkin, La fine del lavoro, Mondadori, 1995) o di un mercato del lavoro nel quale “le persone non servono” (J. Kaplan, Le persone non servono, LUISS University Press, 2016). L’algoritmo e la macchina come fattori potenzialmente sostitutivi della persona che lavora.
Dall’altro lato, invece, può osservarsi un evidente ed estremamente significativo cambiamento nell’organizzazione del lavoro e nel “come” si lavora: si pensi, a mero titolo d’esempio, all’ingresso dei cosiddetti “robot collaborativi” che, nelle fabbriche, collaborano con le persone che lavorano, interagendo con le stesse in modo del tutto autonomo e indipendente, o alle nuove traiettorie innovative aperte dall’utilizzo di dispositivi indossabili (i cc.dd. “wearable devices”; S. Greengard, Internet delle cose, Il Mulino, 2017),

utilizzati dalle lavoratrici e dai lavoratori per lo svolgimento della propria attività o, ancora, a lavori eseguiti in una realtà virtuale, aumentata o - addirittura - nel metaverso (Stefano Bini, La dimensión colectiva de la digitalización del trabajo, Bomarzo, 2021; S. Bini, Lavoro digitale e dimensione collettiva, in Sindacalismo, 2021, 4, 45-60).
In entrambi i casi, fondamentale pare lo studio dei fenomeni in questione e la loro regolazione, anche in termini giuridici, secondo paradigmi antropocentrici, basati cioè sulla centralità della persona (Commissione Europea – Direzione Generale per la Ricerca e l’Innovazione, Industry 5.0. Towards a sustainable, human-centric and resilient European industry, UE, 2021) e orientati ad una proficua interdisciplinarietà o, come ben dice Papa Francesco, ad un proficuo dialogo “transdisciplinare” dei saperi, «nella logica di un vero e proprio “laboratorio culturale”».

 

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Una data storica il 7 giugno 1929, giorno di nascita dello Stato della Città del Vaticano, il più piccolo del mondo. Quella mattina, infatti, nel Palazzo Apostolico Vaticano, da parte del Re d’Italia e del Pontefice avvenne lo scambio degli strumenti di ratifica dei cosiddetti Patti Lateranensi, cioè del Trattato e del Concordato, sottoscritti l’11 febbraio 1929 dal Cardinale Segretario di Stato, Pietro Gasparri, e dal capo del governo italiano, Benito Mussolini. Dopo lunghe e complicate trattative più volte interrotte e riprese, intercorse negli anni precedenti al 1929, si arrivò alla stipula dell’accordo che tanto premeva al Duce e al Papa.Il momento è solenne: nel luogo prescelto, l’austera sala dei papi, si firma l’atto con il quale veniva risolta la cosiddetta “questione romana”, sorta con l’annessione di Roma al Regno d’Italia nel 1870 e che per sessant’anni aveva irrigidito le relazioni tra Stato e Chiesa. I Patti comprendono un Trattato che regola i rapporti tra la Santa Sede e l’Italia e un Concordato che riconosce,
tra l’altro, alla chiesa personalità giuridica, l’insegnamento religioso nelle scuole, il ruolo chiave delle associazioni cattoliche. Nel Tratto viene precisata la linea di confine del nascente Stato vaticano, ovvero quel poco di territorio sufficiente a garantire alla Chiesa la propria libertà e indipendenza. La stampa internazionale diede grande risalto all’avvenimento, elogiando Mussolini e pure il Pontefice regnante, Pio XI (Achille Ratti), che, per vie segrete, riuscì a trattare con il governo italiano, così risolvendo la questione pluridecennale un’opera sicuramente difficile che prima altri uomini auspicavano e attendevano: la “conciliazione” dell’Italia con la Santa Sede. Pontefice dal 1922 al 1939, nel periodo tra le due guerre mondiali, Pio XI, ricevendo i parroci di Roma, affermava tra l’altro:

ricevendo i parroci di Roma, affermava tra l’altro: «Proprio in questo giorno si sottoscrivono un Trattato e un Concordato. Un Trattato inteso a riconoscere, e per quanto hominibus licet, ad assicurare alla Santa Sede una vera e propria e reale sovranità territoriale (non conoscendosi nel mondo, almeno fino ad oggi, altra forma di sovranità vera e propria se non appunto territoriale) e che evidentemente è necessaria e dovuta a Chi, stante il divino mandato e la divina rappresentanza ond’è investito, non può essere suddito di alcuna sovranità terrena».

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Si apre così l’epoca nuova con alle spalle una storia secolare di dominio temporale dei papi, in cui lasciò segni notevoli il dotto e intraprendente Pio XI: la pace è il primo traguardo che si pone. Governa per 17 anni, tra lotte e antagonismi, durante i quali si batte per la realizzazione della «Pax Christi in Regno Christi», come recitava il suo motto. Già nella prima enciclica Ubi arcano Dei del 1922 sembra voler placare gli animi lacerati, da un secolo, per il conflitto tra Chiesa e Stato. Diceva che «l’Italia nulla ha ed avrà da temere dalla Santa Sede, e che il Papa, avrà sempre pensieri di pace e non di afflizione, di pace vera e perciò stesso non disgiunta dalla giustizia...». Achille Ratti si pone contro l’ideologia fascista inaccettabile perché in contrasto con i principi cristiani; mal sopporta le

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